L’osservatore determina la realtà

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Siamo nel 1909, in Inghilterra, in un laboratorio di fisica. Geoffrey Ingram Taylor sta effettuando un test scientifico, per esplorare la sostanza di cui si compone il corpo umano e l’universo. Il test consiste nel proiettare dei fotoni, particella elementare della radiazione elettromagnetica, contro una barriera con due fori, per poterne osservare il comportamento.

 

Ciò che ci si aspetta è che i fotoni transitino per i due fori una alla volta. Invece, in modo del tutto inaspettato, ogni corpuscolo, singolarmente, cambia forma diventando un’onda ed attraversa i due fori simultaneamente, tornando successivamente corpuscolo. Nella fisica tradizionale ciò non è ritenuto possibile e non ha alcun senso. Come aveva fatto la particella a “sapere” che vi era più di un foro nella barriera?

 

La conclusione fu che l’osservatore, l’unico che poteva sapere dell’esistenza del doppio foro, aveva influenzato la particella attraverso il semplice fatto di essere presente all’esperimento. L’in-formazione presente nell’osservatore aveva fornito le istruzioni della nuova forma da assumere, dovendo muoversi in presenza di due fenditure.

 

Questo esperimento, ripetuto nel 1998 presso il Weizmann Institute di Israele con apparecchiature più sofisticate e sensibili, ha confermato gli esperimenti di 90 anni prima. Inoltre, l’esperimento ha fornito un’ulteriore scoperta, cioè che più le particelle venivano osservate, più erano influenzate dall’osservatore.

 

Le implicazioni sono notevoli e, anche se non ancora completamente riconosciute ufficialmente, ampiamente valorizzate dall’intera comunità scientifica, prova ne siano i molteplici Premi Nobel assegnati ai maggiori esponenti di questa preziosa branca della fisica, la meccanica quantistica.

 

In sintesi, l’esperimento sostiene la teoria che la realtà è la risultanza fra osservatore ed osservato, significa che l’universo esiste perché vi è un osservatore, significa che il sistema di credenze dell’osservatore determina l’esistenza della realtà nella forma in cui egli crede che sia.

 

John Wheeler, noto fisico statunitense, insignito nel 1997 del Premio Wolf, assegnato a scienziati ed artisti viventi che si sono distinti per il bene dell’umanità e dei rapporti fra i popoli, lascia pochi dubbi in merito: “non potremmo neanche immaginare un universo che … non contenesse degli osservatori, perché i mattoni stessi dell’universo sono questi atti di osservazione partecipata”.

 

Nel 1927, altri due colossi di questa affascinante scienza, Niels Bohr e Werner Heisenberg, ambedue Premi Nobel per la Fisica rispettivamente nel 1922 e 1932, definirono una loro interpretazione alle nuove scoperte in corso, nota come l’Interpretazione di Copenaghen.

 

In sintesi essa afferma che l’universo esiste in quanto numero infinito di possibilità sovrapposte. Secondo la loro teoria, esse non si collocano in ciò che definiamo né uno spazio né uno stato di esistenza, ma sono presenti tutte contemporaneamente in uno stato potenziale. L’atto di una persona che osserva quei possibili potenziali, determina l’attivazione di quello sul quale è focalizzato: in altri termini, semplificando per il nostro uso, quello che pensa o si aspetta di vedere. Questa risulta essere, ancora ai nostri giorni, la teoria più accreditata.

 

Nel 1957, Hugh Everett III della Princeton University, propose un’ulteriore teoria che gode di maggior popolarità e sostegno, quella degli universi paralleli, la quale in parte conferma la precedente, specificando inoltre che tutte le infinite possibilità si realizzano e accadono simultaneamente e, poiché ognuna accade nel proprio spazio-tempo, non può essere “vista” contemporaneamente dalle altre.

 

Ed infine, in un tempo ancora successivo, Roger Penrose, noto fisico e matematico britannico, aggiunge un ulteriore ingrediente, la gravità, l’elemento che mancava rispetto alle due teorie precedenti sulla realtà. Questa teoria offre una possibile risposta al perché, essendo tutte contemporaneamente in divenire, noi ne percepiamo una soltanto: poiché ogni realtà potenziale richiede molta energia per potersi manifestare nel mondo della materia, tutte collassano a favore di una, che prendendosi tutta l’energia a disposizione diventa l’unica realtà.

 

Per onestà intellettuale, va detto che la fisica quantistica è considerata ancora una teoria, sebbene fino ad oggi ha avuto il 100% di successo nel prevedere il risultato degli esperimenti quantistici e, fra tutte le teorie alternative sulla realtà, è quella che fornisce maggiori possibilità di comprensione dell’esistenza.

 

Per contro, bisogna considerare che un secolo è un tempo troppo piccolo rispetto alla storia complessiva dell’uomo per determinare un cambio radicale del modello di pensiero collettivo. È probabile che occorrano diverse generazioni affinché queste nuove consapevolezze divengano parte integrata del sapere collettivo e, di riflesso, del patrimonio genetico dell’umanità. È parte del processo di evoluzione complessivo.

 

 

2013001