Scegliere la realtà consapevolmente

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Sempre più spesso, con l’avanzare dell’ascesi vibrazionale, diventa evidente la linea sottile che divide un campo di realtà dall’altro: una situazione è in un determinato modo e solo pochi istanti dopo cambia del tutto.

 

La nostra abitudine biologica a considerare la realtà che vediamo come una realtà “presente in uno stesso spazio-tempo”, non ci fa percepire i diversi campi di realtà di cui essa invece si compone: essendo molto vicini tra loro vengono interpretati dal nostro cervello come “tutti presenti contemporaneamente nello stesso spazio”.

 

E se non fosse così? Sarebbe interessante, poiché avremmo la possibilità di poter scegliere in quale realtà “essere presenti”, in quale situazione “fare l’esperienza di vita di quel momento specifico”, di quel qui-ed-ora che potremmo chiamare “attimo di vita consapevole”, di cui ci sentiremmo finalmente 100% responsabili in quanto scelto liberamente (cioè a livello conscio).


 
Quante volte ci è capitato, ascoltando la radio sintonizzata su una determinata frequenza, di sentire la musica di un altra emittente inserirsi a tratti, disturbando il nostro ascolto se non, in alcuni casi, sovrapporsi del tutto?

 

Sappiamo che ogni realtà esistente, ogni aspetto della manifestazione, è energia in movimento. Sappiamo anche che, in quanto energia in movimento, essa vibra a diverse frequenze. Quando queste vibrazioni entrano nello spettro di determinate frequenze, i nostri sensi biologi le traducono in ciò che riteniamo essere la realtà. Come vedremo è proprio il nostro cervello a dare “forma” alla realtà così come la vediamo, tocchiamo, odoriamo, gustiamo, ascoltiamo, immaginiamo.

 

Dunque, possiamo asserire che la realtà è un’interpretazione dell’energia vibrante a determinate frequenze, attraverso schemi interpretativi elaborati dal nostro complesso “di esistenza”, di cui il nostro “complesso biologico” è quello deputato al “renderci vivi” sul piano materiale.

 

La nostra biologia è pertanto il modello interpretativo attraverso il quale definiamo la realtà materiale, ovvero la interpretiamo e, dandole forma e sostanza, la creiamo. Inoltre, poiché ogni complesso biologico è diverso da qualunque altro, significa che detta interpretazione è soggettiva, relativa cioè ad ogni singolo complesso biologico “osservatore”, e non assoluta come comunemente si ritiene che sia.

 

Naturalmente, essendo anche la nostra biologia parte della realtà materiale, si compone della stessa materia di cui si compone la materia dell’intera realtà che percepiamo come “esterna” al nostro “senso di esistenza”. Dunque la realtà è un mare di energia di cui siamo parte inscindibile in costante movimento su frequenze e vibrazioni diverse.

 

Se ad esempio prendiamo una pianta, essa ha una vibrazione propria che la identifica, univoca, le cui frequenze sono misurabili in Hertz. Univoca nel senso che appartiene al range a cui appartengono tutte le piante di quella specie, ma diversa da qualsiasi altra pianta. Nessuna pianta è identica ad un’altra. Anche solo soffermandoci sulla forma esteriore, possiamo accettarne la diversità rispetto ad ogni altra, in quanto una forma diversa è espressione di un’onda di forma diversa, con vibrazioni e frequenze per forza diverse. Non così tanto diversa tuttavia da farla apparire di un’altra specie o di un altro regno.

 

Lo stesso vale per ogni altra forma esistente. Inoltre, l’osservazione (intesa anche come contatto, relazione, interazione …) di quella specifica vibrazione inevitabilmente immersa nel mare di frequenze costituente la realtà, la rende istantaneamente mutevole, inafferrabile nella sua staticità (principio di Heisenberg, la realtà è la risultanza tra osservatore e osservato).

 

Aiutiamoci con un esempio. Comunemente pensiamo che una pietra sia solida e statica. Questa è l’interpretazione che ci fornisce il nostro cervello. Tuttavia, se la osservassimo attraverso un microscopio elettronico, vedremmo solo particelle infinitesimali ruotare vorticosamente intorno ad atomi in uno spazio vuoto di gran lunga superiore al “pieno” della materia in movimento.

Poco di solido e nulla di statico, non esattamente ciò che ci ha raccontato il cervello.

 

Dunque, ogni forma esistente è vibrante e pulsante, in costante movimento e in continua mutazione, secondo la propria “intelligenza”. Inoltre, tutto si trasforma ancor prima che l’osserviamo. Sappiamo infatti che ciò che vediamo è l’immagine passata e non quella di quel presente (vedi post Il Sole che vediamo è reale?). Quindi, un mondo a sé, ben definito per vibrazione e frequenza, seppur inafferrabile nel tempo presente, a meno di uscire dal modello di dualità ed attivare il modello di unità, nel quale non essendoci passato e futuro si è in un unico presente, in cui tutto accade contemporaneamente.

 

Per quanto detto, se tutto ciò che è manifesto ha questo tipo di struttura, per forza è anche la struttura dell’essere umano: ognuno è dunque un’espressione unica e irripetibile nell’intera manifestazione.

 

Proprio nel termine “unico” troviamo la diversità: poiché è unico in un insieme di espressioni altrettanto uniche, significa che siamo tutti diversi, distinti, identificati. Come nell’esempio delle piante. Ogni realtà manifesta è dunque un mondo a sé che, vibrando differenze minime, risulta vicino a mondi con vibrazioni simili, che il nostro cervello interpreta diversamente, fornendoci la percezione di essere tutti nello stesso spazio.

 

Perché il cervello adotta un simile comportamento? Perché ci offre una percezione della realtà così lontana dal reale? Considerando meglio, non è poi così lontana dal reale, sono semplicemente espressione di due diversi modelli interpretativi della realtà.

 

Il primo, basato sull’unità, in cui esiste un solo “campo” in cui prende forma “tutto ciò che è”. Essendo “tutto là contemporaneamente” non c’è un pasato-futuro, c’è un unico tempo se ha ancora senso definirlo tale, il tempo presente, il qui-ed-ora.

 

Il secondo, basato sul principio di dualità, in cui ciò che nel modello precedente è “uno” si separa e diventa “due”, generando due opposti. È nel modello di dualità che prende forma il “dentro” e il “fuori”, il “tu” diventa esistente per dare forma ed esistenza al “io”. Il cervello attivato sul modello di dualità, semplicemente, conferisce forma alla realtà (creandola) secondo le sue regole, che sono diverse a quelle del modello di unità, che crea la realtà secondo regole diverse.

 

Sono entrambi reali all’interno del loro modello, ed entrambi irreali (illusione) all’interno dell’altro modello interpretativo.

 

Nel modello di dualità ci troviamo intrappolati ognuno nel proprio mondo di percezione illusoria individuale (piccolo “io” o “personalità identificata”), ognuno separato da ogni altra forma di esistenza.

 

Complichiamo ancora un po’. Fonte Wikipedia: “Lo spazio-tempo è un concetto fisico che combina le nostre classiche nozioni tradizionalmente distinte di spazio e di tempo in un solo costrutto unico e omogeneo. L’introduzione dello spazio-tempo è una conseguenza diretta della teoria della relatività ristretta, che stabilisce un’equivalenza fra lo spazio e il tempo.

Così come nella nostra visione classica dello spazio le sue tre dimensioni componenti sono equivalenti e omogenee fra loro e relative all’osservatore (ciò che viene considerato avanti o dietro da un osservatore può essere considerato destra o sinistra da un altro osservatore disposto diversamente), la visione relativistica assimila anche la dimensione temporale (prima-dopo) alle tre dimensioni spaziali, rendendola percepibile in modo diverso da osservatori in condizioni differenti.” 

 

In termini semplificati: nello stesso spazio in cui oggi sorge il supermercato, sorgeva in un altro tempo un campo di frumento. Stesso luogo, diverso il tempo, diversa la realtà. Esistono entrambi, in tempi diversi.

 

Tuttavia, poiché il tempo esiste solo nel modello di dualità nella forma degli opposti passato-futuro e, illusoriamente, di presente, in assenza del tempo (modello di unità) esse esistono entrambi contemporaneamente.

 

Quindi non solo siamo mondi unici per diversa vibrazione rispetto a chiunque altro, siamo anche contemporaneamente in più spazio-tempo, ognuno dei quali è diverso e a sua volta diverso da quelli di ogni altro.

 

La nostra biologia, generata all’interno del modello di separazione di cui è parte, non ci fa percepire questa separazione, fornendoci invece l’illusione di unità, di essere cioè tutti insieme contemporaneamente nello stesso spazio-tempo. Solo così riesce a darci l’illusione che il “fuori” esiste, utile ancora una volta a darci l’illusione conseguente di esistere.

 

Ciò non significa che non esistiamo, significa semplicemente che la nostra comune percezione di esistere è illusoria.

 

Per quanto detto, a quale considerazione finale possiamo giungere? A cosa ci può essere utile in termini pratici maturare una simile consapevolezza?

 

Le implicazioni di quanto detto sono molteplici, tra cui:

 

  • il mondo non è ciò che pensiamo che sia, bensì energia in costante movimento e mutazione
  • la nostra biologia interpreta il mondo creando l’illusione di un mondo irreale nel modello di unità, che diventa tuttavia reale all’interno del piano in cui la biologia esiste, cioè quello materiale, governato dal principio di dualità
  • poiché sappiamo però che ogni situazione esiste in un divenire contemporaneo nel modello di unità, imparando ad attivare anche il modello di unità possiamo scegliere liberamente a quale situazione “partecipare” (dal post L’osservatore determina la realtà: John Wheeler, noto fisico statunitense, insignito nel 1997 del Premio Wolf, assegnato a scienziati ed artisti viventi che si sono distinti per il bene dell’umanità e dei rapporti fra i popoli, lascia pochi dubbi in merito: “non potremmo neanche immaginare un universo che … non contenesse degli osservatori, perché i mattoni stessi dell’universo sono questi atti di osservazione partecipata”.

 

Dunque la domanda ora può essere formulata con maggiore precisione: come ci si “sposta” sul campo energetico in cui si svolge la situazione che desideriamo? Come ci si sposta nel campo del “già fatto”?

 

La risposta è complessa, poiché ognuno, nella sua unicità, darà a questo spostamento una sfumatura interiore personale, secondo la propria soggettività. Qualunque essa sarà, tuttavia l’azione è comune: inizialmente sarà necessario provare tante volte, continuare a tentare di applicare questo spostamento nel quotidiano della vita, senza scoraggiarsi ai primi insuccessi. Sempre di più si affinerà la capacità di “vedere” i due o più campi di scelta possibili. Inizialmente accadranno delle situazioni che, cambiando repentinamente, evidenzieranno proprio i due opposti: prima una data situazione si prospetta in un modo, poco dopo evolve nel suo opposto.

 

Con la pratica, ad un certo punto, accadrà una cosa stupefacente: improvvisamente, dal profondo, emergerà una “spinta” ad agire in un determinato modo e ci vedremo agire dall’esterno, come se fosse un altro a muoversi o a parlare. Ciò che accadrà non necessariamente sarà quello che avevamo sperato che accadesse, spesso sarà molto di più. Perché ciò accada, sarà necessario non avere alcuna reazione interiore al campo “negativo” che si presenta. Non aderendovi non gli daremo l’energia perché olograficamente emerga manifestandosi nella cosiddetta realtà, lasciando lo spazio all’emergere invece del suo opposto, il meglio possibile nel contesto.

 

Cosa è accaduto quando questo non accade? Il nostro stato interiore nel “prima” era focalizzato (stesse vibrazioni) con quel campo, dando forma ad una realtà coerente. Successivamente, cambiando stato interiore, è cambiato i conseguenza anche il campo, e la realtà correlata. Se davanti a questo cambiamento riusciamo a non avere alcuna reazione, emergerà l’unica realtà possibile nel contesto, in questo senso “la migliore”.

 

Facciamo un esempio. Supponiamo di aspettare una telefonata per un colloquio di lavoro. Quel mattino stiamo bene, siamo fiduciosi in generale ed aperti alla vita, positivi. Riceviamo la telefonata di convocazione per il giorno dopo. Nel pomeriggio, apprendiamo che il conto del carrozziere per la riparazione dell’auto è più elevato del previsto. Questo ci fa cambiare umore, si insinua la paura di non farcela con i soldi, arrivano pensieri negativi che ci fanno sentire sfiduciati in pericolo. Due ore più tardi squilla il telefono, annullando l’appuntamento del giorno dopo, poiché il posto è già stato assegnato. La nostra reazione è di disappunto e sfiducia (reazione interiore): quella realtà è diventata vera. Se non vi fosse reazione, emergerebbe una nuova realtà, migliore della precedente: chiusa una porta si aprirà un portone.

 

Ogni volta che cambia il flusso degli accadimenti, significa che, inconsapevolmente, ci siamo spostati su un altro campo vibrazionale, aderendovi al punto da fornirgli l’energia di manifestarsi sul piano materiale. Come se vivessimo costantemente nella possibilità di premere il bottone di un ascensore: al primo piano non otteniamo il lavoro dell’esempio, al secondo invece il lavoro, o uno migliore ancora, è nostro. Dipende da quale bottone premiamo. La nostra focalizzazione interiore, determina il piano che scegliamo, l’opzione di realtà da sostenere (vedi teoria di Penrose, post L’osservatore determina la realtà).

 

Ciò significa che siamo sempre noi a scegliere la realtà o, meglio, a creare la nostra realtà secondo il sentimento profondo che abbiamo di noi stessi. Il punto è che essendo nel profondo non è conscio. Crediamo di sapere cosa accade nel nostro subconscio, ma per definizione del termine, il conscio non lo può conoscere. Il conscio elabora la realtà ad una velocità troppo ridotta rispetto al subconscio, non lo può conoscere perché non lo vede (appunto gli è inconscio) in quanto troppo veloce, come se guardassimo dal finestrino di un treno che viaggia a 500km/ora: vedremmo solo macchie di colore sfumare in velocità.

 

Imparando a rallentare interiormente, impariamo a vedere questi diversi campi potenziali e a scegliere consapevolmente. Alcune volte funzionerà, altre no. Quando non funzionerà avremo un dato: il nostro subconscio vive quella situazione diversamente dal nostro conscio. La brutta notizia è che vince sempre il sentimento nel subconscio, la buona è che questo ci darà la possibilità di conoscere il nostro subconscio. Maggiore sarà il livello di ciò che conosceremo della nostra globalità (conscio e subconscio), maggiore sarà il nostro potere di scegliere. Questo è il significato esoterico del celebre motto “conosci te stesso”: unifica il conscio con il subconscio (opposti) e torna all’unità.

 

Facciamo un ultimo esempio. Volevamo con intensità quel lavoro, ma nel subconscio il sentimento che si muove in relazione al colloquio è di pensare che probabilmente non andrà bene, che non saremo all’altezza. La vibrazione di questo sentimento attiva il campo potenziale in coerenza vibratoria, ovvero realizza se stesso dando forma alla realtà esterna. Il processo è perfetto, il sentimento però non gioca a favore di ciò che il conscio vorrebbe, cioè quel colloquio.

 

Comprendere la dinamica attraverso la quale prende forma la realtà, ci offre un’opzione importante: diventare responsabili della nostra vita, portare all’interno di noi stessi la responsabilità del mondo che percepiamo esterno. Riflettendoci, rappresenterà la fine della sofferenza.

 

 

 
2013006